Area Utenti
Area Educatori

Referendum 8/9 Giugno: le Analisi dei Quesiti e le mie Posizioni

news

Il prossimo 8 e 9 giugno l'Italia sarà chiamata a esprimersi su cinque referendum abrogativi di grande rilevanza, che riguardano temi cruciali come la cittadinanza e le norme sul lavoro. Questi referendum rappresentano un momento importante di partecipazione democratica, ma spesso ne sentiamo parlare in modo confuso o parziale. È quindi fondamentale capire esattamente cosa si va a votare, come funziona il meccanismo referendario, quali sono i quesiti proposti e quale impatto potrebbero avere sul nostro sistema legislativo e sociale.

In questo articolo, vi guiderò passo dopo passo attraverso i dettagli di questi referendum, analizzando i singoli quesiti, le motivazioni dietro le proposte di abrogazione, le posizioni dei principali partiti politici italiani e la mia personale posizione su ciascuno di essi. L’obiettivo è fornirvi tutte le informazioni necessarie per arrivare preparati al voto e capire perché questo appuntamento elettorale è molto più importante di quanto si pensi.

 

Cos’è un referendum abrogativo e come funziona il voto

Innanzitutto, è utile chiarire che tipo di referendum si tratta. Questi sono referendum abrogativi, cioè consultazioni popolari che chiedono agli elettori se vogliono abrogare, cioè cancellare, una legge o una parte di essa già in vigore. Se la maggioranza dei votanti risponde “sì” e si raggiunge il quorum, la legge o la parte di legge oggetto del referendum viene annullata.

Il quorum è un elemento chiave e spesso sottovalutato: per validare il referendum è necessario che almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto partecipino alla consultazione. Questo è storicamente un traguardo difficile da raggiungere, specialmente in occasione di referendum su temi complessi o poco pubblicizzati.

Per partecipare al voto è necessario essere cittadini italiani maggiorenni. Le schede referendarie che riceverete saranno cinque, ciascuna corrispondente a un quesito diverso. Non è obbligatorio votare su tutti i referendum: potete scegliere a quali quesiti rispondere, ma attenzione, perché anche prendere la scheda e non votare viene comunque conteggiato ai fini del quorum.

Un aspetto pratico importante riguarda la gestione delle schede: per non essere conteggiati nel quorum di un quesito, bisogna specificare al presidente del seggio quali schede si intendono ricevere e restituire senza votare quelle non interessanti. Questo dettaglio potrebbe sembrare tecnico, ma è fondamentale per chi vuole usare in modo strategico la propria partecipazione o astensione.

Infine, si è recentemente introdotta la possibilità per chi vive fuori sede di votare nel luogo in cui si è domiciliati, purché la richiesta sia stata fatta entro 35 giorni dalla data del voto. Per i residenti all’estero iscritti all’AIRE, invece, il plico arriverà direttamente a casa.

 

I cinque quesiti referendari: cosa si vota concretamente

Passiamo ora al cuore della questione: i cinque quesiti referendari. Ognuno di questi incide su aspetti diversi della legislazione italiana, con temi che toccano la cittadinanza, il lavoro e la sicurezza sul lavoro. Ecco una panoramica dettagliata di ciascuno di essi.

1. Referendum sulla cittadinanza (scheda gialla)

Il primo quesito riguarda la legge 91 del 1992, che disciplina la concessione della cittadinanza agli stranieri maggiorenni. Attualmente, la legge prevede che uno straniero possa richiedere la cittadinanza italiana dopo almeno dieci anni di residenza sul territorio nazionale. Il referendum propone di ridurre questo periodo a cinque anni, tornando sostanzialmente alla situazione precedente al 1992, quando bastavano cinque anni per ottenere la cittadinanza.

Va precisato che il requisito dei dieci anni riguarda specificamente gli stranieri extracomunitari: per i cittadini dell’Unione Europea il termine è già più breve, pari a quattro anni. La modifica proposta dal referendum permetterebbe inoltre di trasferire la cittadinanza ai figli per via dello ius sanguinis.

Questa proposta si inserisce in un contesto storico e sociale complesso. Negli anni Novanta, in particolare con gli sbarchi di massa di albanesi sulle coste italiane, la politica migratoria italiana ha subito un cambio di rotta, con norme più restrittive introdotte proprio per gestire i flussi migratori. Tornare a un periodo di residenza più breve per la cittadinanza rappresenterebbe una svolta significativa.

Un dato interessante da considerare è che, pur essendo tra i paesi che concedono più cittadinanze in termini assoluti, l’Italia scende nelle classifiche se si guarda al rapporto percentuale di cittadinanze concesse rispetto alla popolazione residente. Paesi come Lussemburgo, Francia, Germania e Spagna hanno regole più o meno simili o addirittura più permissive in alcuni casi, con tempi di residenza inferiori o eccezioni per determinate categorie.

È importante sottolineare che il tempo di residenza non è l’unico requisito richiesto per ottenere la cittadinanza, né in Italia né altrove. Rimangono fondamentali il possesso di un reddito sufficiente, la conoscenza della lingua italiana, l’integrazione culturale e sociale, e il rispetto dei valori nazionali. Proprio per questo alcuni critici del referendum sostengono che ridurre i tempi di residenza non affronta il problema dell’integrazione, che resta la chiave per una società coesa e funzionante.

Sono contrario a questa modifica: come già visto l'Italia è uno dei Paesi "più generosi" nell'elargizione di Passaporti e Cittadinanze ad extra comunitari, per cui non vedo il motivo per cui - dopo appena 5 anni di residenza - uno straniero possa diventare italiano.

 

2. Referendum su tutele crescenti e licenziamenti illegittimi (scheda verde chiaro)

Il secondo quesito riguarda il cosiddetto Jobs Act, il pacchetto di riforme del lavoro approvato nel 2015, e in particolare il decreto legislativo 4 marzo 2015, che ha modificato la disciplina dei licenziamenti illegittimi.

Attualmente, in caso di licenziamento giudicato illegittimo, il lavoratore ha diritto a un indennizzo economico variabile tra sei e trentasei mensilità, ma non è previsto obbligatoriamente il reintegro nel posto di lavoro. Il referendum propone di abrogare questa norma, tornando a una disciplina simile a quella dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e della legge Fornero, che prevedono il reintegro del lavoratore nei casi di licenziamenti particolarmente gravi, come quelli discriminatori o dovuti a malattie.

Chi sostiene il sì vede in questa abrogazione una tutela più solida per i lavoratori, che tornerebbero ad avere diritto al reintegro in determinate situazioni. Al contrario, chi è contrario teme che questa norma possa essere usata come strumento negoziale da parte dei lavoratori, creando difficoltà alle piccole imprese e rendendo più complicato licenziare in modo efficace. Inoltre, si teme la perdita del tetto massimo di indennizzi previsto dalla legge Fornero.

Come spesso accade in questi temi, non esiste una risposta univoca su cosa sia meglio: è una questione di equilibri tra diritti dei lavoratori e flessibilità per le imprese, e ognuno deve valutare quale sistema ritiene più giusto ed efficace.

Personalmente sono contrario all'abrogazione: a mio modesto avviso, se vincesse il SI, i lavoratori verrebbero danneggiati. Lungi dal ripristinare l'art 18, in caso di licenziamento, l'indennità massima verrebbe ridotta da 36 a 24 mesi.

Il contratto a tutele crescenti è il cuore del Jobs Act: ha contribuito ad aumentare i posti di lavoro, ridurre le incertezze sui contenziosi, ridurre i disincentivi a far crescere le imprese oltre la soglia dei 15 dipendenti. Perchè abolirle?

 

3. Referendum sulle causali nei contratti a tempo determinato (scheda grigia)

Il terzo quesito riguarda sempre il Jobs Act e il decreto legislativo 81 del 2015, che consente di stipulare contratti a tempo determinato fino a 12 mesi senza dover indicare una causale, cioè una motivazione specifica per cui il contratto non è a tempo indeterminato.

Il referendum propone di abrogare questa norma, obbligando il datore di lavoro a motivare la scelta di un contratto a termine. Chi sostiene il sì ritiene che ciò possa contrastare la precarietà, spingendo le aziende a trasformare più velocemente i contratti in contratti stabili e indeterminati.

Dall’altra parte, c’è chi ritiene che abrogare parzialmente la legge non sia la soluzione migliore, e che invece sia più efficace rafforzare la contrattazione collettiva per tutelare i lavoratori. Inoltre, si pone il dubbio se obbligare le aziende a motivare ogni contratto a termine sia davvero la strada giusta per aumentare la stabilità del lavoro.

Sono contrario. Rendere più difficile e burocratico fare i contratti a termine non aumenta quelli a tempo indeterminato, semplicemente riduce la possibilità di attivare contratti a tempo determinato (magari in conseguenza di aumenti di domanda) e quindi riduce l'occupazione.

 

4. Referendum sui limiti di risarcimento per licenziamenti nelle piccole imprese (scheda arancione)

Il quarto quesito riguarda l’articolo 8 della legge 604 del 1966, che stabilisce un tetto massimo di sei mensilità di risarcimento per i licenziamenti senza giusta causa nelle aziende con meno di 15 dipendenti, per evitare che l’onere economico possa mettere in crisi le piccole imprese.

Il referendum propone di abrogare questo limite, lasciando al giudice la libertà di stabilire l’entità del risarcimento, anche molto superiore, in base al caso specifico. L’idea è di garantire una maggiore tutela ai lavoratori delle piccole aziende, che oggi hanno meno tutele rispetto a quelli delle aziende più grandi.

Anche qui, sono contrario. Far decidere l'indennità in modo discrezionale a un giudice:

- Aumenta l'incertezza quando si assume, quindi si assumerà di meno;

- L'aumento dell'incertezza avviene proprio su chi - le imprese con meno di 15 dipendenti - ha maggiormente bisogno di certezze e di crescita.

 

5. Referendum sulla responsabilità delle aziende committenti in appalti e subappalti (scheda rosso rubino)

L’ultimo quesito si concentra sulla sicurezza sul lavoro e riguarda il decreto legislativo 81 del 2008. Attualmente, in caso di infortuni o malattie professionali derivanti da rischi specifici dell’attività svolta da imprese appaltatrici o subappaltatrici, le aziende committenti non sono ritenute responsabili.

Il referendum vuole abrogare questa norma, rendendo le aziende committenti legalmente responsabili anche per gli incidenti che accadono alle imprese a cui affidano i lavori. L’obiettivo è spingere le committenti a esercitare maggiore controllo e attenzione sulla sicurezza, migliorando così le condizioni di lavoro.

Chi è contrario vede in questa proposta una “spalmatura” ingiusta delle responsabilità, ritenendo che le aziende committenti non debbano essere coinvolte per incidenti causati da imprese terze specializzate.

Anche per quest'ultimo quesito sono contrario: la sicurezza sul lavoro non si raggiunge disincentivando l'allocazione del lavoro secondo le specifiche di ogni azienda, ma con una riforma che riduca la frammentazione delle competenze in materia tra troppi soggetti (INPS, INAIL, ASL) e aumenti i controlli.

 

Le posizioni dei principali partiti italiani

Il tema dei referendum ha acceso anche un acceso dibattito politico. Negli ultimi giorni, infatti, la maggioranza di governo ha scelto una linea chiara: invitare gli elettori a non recarsi alle urne, puntando sull’astensione per impedire il raggiungimento del quorum e quindi la validità dei referendum.

Vediamo come si sono schierati i principali partiti:

  • Fratelli d’Italia: primo partito secondo i sondaggi, ha comunicato ai propri esponenti di promuovere l’astensione.

  • Forza Italia: il segretario Antonio Tajani ha definito legittima la scelta di non andare a votare, criticando il quorum come illiberale.

  • Lega: anche la Lega sostiene l’astensione, nonostante in passato si fosse schierata contro simili strategie.

  • Noi Moderati: contrariamente ai partiti di centrodestra, sceglie di votare, esprimendo un voto contrario a tutti e cinque i quesiti.

Spostandoci verso il centro-sinistra e altre forze:

  • Partito Democratico (PD): sostiene il sì ai cinque quesiti, anche se una parte interna è più critica e orientata a votare sì solo sulla cittadinanza e sulla responsabilità delle imprese, mentre vota no sugli altri tre.

  • Movimento 5 Stelle (M5S): sostiene quattro sì, escludendo il quesito sulla cittadinanza.

  • Più Europa: promuove il sì sulla cittadinanza e sulla sicurezza negli appalti; è stato proprio questo partito a depositare il referendum sulla cittadinanza.

  • Azione: inizialmente contrario a tutti i referendum, cambia idea e sostiene il sì soltanto sul quesito della cittadinanza.

  • Italia Viva: allineata con Azione sul sì alla cittadinanza, ma contraria agli altri quesiti, in particolare quelli che modificano il Jobs Act, un pilastro della politica di Matteo Renzi.

 

Come prepararsi al voto e perché è importante partecipare

Ora che abbiamo visto nel dettaglio cosa si vota e quali sono le posizioni politiche, è importante capire come prepararsi al voto. Il referendum richiede una partecipazione consapevole, e conoscere i quesiti prima di andare al seggio è fondamentale per evitare confusione o errori.

Ricorda che le schede hanno colori diversi e che è possibile scegliere quali quesiti votare. Prima di entrare in cabina, puoi chiedere al presidente del seggio quali schede vuoi ricevere, così da evitare di essere conteggiato nel quorum di quesiti che non ti interessano. È un dettaglio che può fare la differenza, soprattutto in una tornata dove il quorum è così determinante.

Inoltre, se vivi fuori sede o all’estero, verifica con anticipo le modalità di voto per non perdere il diritto di partecipazione.

 

Sull'astensione come scelta di voto

Da 35 anni, dall’invito di Craxi ad “andare al mare”, ogni volta che c’è un referendum c’è sempre la solita, identica, inutile polemica.

Perché in Italia è così: l’eterno ritorno dell’uguale. Continuamente, ciclicamente. Senza mai fare un passo avanti. 

Le cose invece sono estremamente semplici, ma proprio che più semplici non si può. Chi è contrario ad un quesito referendario ha due modi per esercitare democraticamente la propria opinione: o vota NO, o non andare a votare. Entrambi i modi sono pienamente e totalmente legittimi.

Il primo, perché ovvio.

Il secondo, perché chi non vuole l’abrogazione della norma oggetto del quesito, può perseguire il suo obiettivo evitando di contribuire al raggiungimento del quorum e quindi alla validità del quesito.

Non votare ad un referendum non è la stessa cosa che non votare alle elezioni amministrative o politiche (posto che è un diritto anche astenersi a queste ultime). Il referendum è una domanda specifica su una questione specifica; alle elezioni, si eleggono i rappresentanti del popolo che per 5 anni avranno questa responsabilità amministrativa o politica.

 

Conclusioni: un voto che conta e un momento di riflessione

I referendum del prossimo giugno sono molto più di una semplice consultazione popolare: rappresentano un’occasione per decidere su temi che riguardano il nostro modello di società, la tutela dei diritti, la sicurezza sul lavoro e il riconoscimento della cittadinanza. Sono quesiti complessi, che richiedono un approfondimento serio e una partecipazione attiva da parte di tutti i cittadini.

La politica sta usando questi referendum anche come strumento di gioco di potere, con tattiche di astensione e campagne di disinformazione. Per questo motivo, è essenziale informarsi, capire cosa si vota e perché, e prendere una decisione consapevole.

Partecipare al voto è un diritto, ma anche un dovere civico. Che scegliate di andare o meno, di votare sì o no su uno o più quesiti, fate in modo che la vostra scelta sia ponderata e informata. Solo così potremo davvero influire sul futuro del nostro Paese.

Per approfondimenti, vi invito a consultare le fonti ufficiali, i testi di legge e a seguire i dibattiti pubblici per avere una visione completa e aggiornata.

Buon voto a tutte e tutti!

Diventa un PRO del denaro e scopri come creare, gestire, proteggere e aumentare la tua ricchezza!

SCOPRI TRADETECTOR PRO