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Quando si parla di investimenti in Italia, ci ritroviamo spesso intrappolati in alcune convinzioni radicate che sembrano scolpite nel nostro immaginario collettivo. Queste idee, tramandate di generazione in generazione, vengono accettate come verità assolute senza una reale comprensione dei loro effetti a lungo termine sul nostro portafoglio. È arrivato il momento di mettere sotto la lente d’ingrandimento i tre grandi miti dell’investimento italiano, quei comportamenti finanziari tanto diffusi quanto, spesso, dannosi per i nostri risparmi.
In questo articolo esploreremo in profondità questi miti, analizzando perché non sono necessariamente degli errori in senso assoluto, ma come la loro adozione senza consapevolezza e pianificazione possa trasformarli in vere e proprie aberrazioni finanziarie. Vedremo insieme come la cultura finanziaria e una strategia ben strutturata siano fondamentali per evitare di disperdere risorse preziose e per costruire un futuro economico più solido e sereno.
Prima di addentrarci nei singoli miti, è importante ricordare il contesto peculiare in cui operano gli investitori italiani. La precarietà del sistema pensionistico, l’inflazione persistente, l’alto debito pubblico e la stagnazione dei salari rendono indispensabile una gestione oculata ed efficace dei risparmi personali. Non possiamo più permetterci di improvvisare o di affidare il nostro futuro finanziario a vecchie abitudini consolidate ma non più sostenibili.
Per questo motivo, la conoscenza degli strumenti finanziari e delle dinamiche di mercato diventa un’arma fondamentale. Abbiamo già visto come l’interesse composto sia il nostro alleato più potente, capace di far crescere esponenzialmente i nostri soldi nel tempo, e come diversificare gli investimenti tra le varie asset class sia essenziale per limitare i rischi.
Ora è il momento di fare un passo indietro e chiederci: quali sono le pratiche più diffuse che, invece di aiutare, danneggiano il nostro portafoglio? Andiamo a scoprire insieme i tre grandi falsi miti dell’investimento italiano.
Il mito n.1: "Il mattone è l’investimento più sicuro"
Se c’è un argomento che fa scattare immediatamente polemiche tra gli italiani, è proprio quello legato al mattone. Per molti, comprare casa è sempre stato sinonimo di sicurezza finanziaria: “Il mattone si rivaluta sempre”, “È un investimento solido che non perde valore”, “Meglio comprare che affittare perché l’affitto è solo una spesa persa”. Quante volte abbiamo sentito queste frasi? Quante volte ci siamo convinti che investire in immobili fosse la scelta più saggia e sicura?
Prima di tutto, bisogna fare una distinzione fondamentale tra acquistare una casa per viverci e acquistare un immobile da mettere a reddito. La prima è una scelta che riguarda principalmente il consumo, un bene particolare che, a differenza di un’auto o di altri beni costosi, può mantenere o aumentare il suo valore nel tempo. L’investimento immobiliare, invece, è un’attività finalizzata a generare un rendimento, solitamente attraverso l’affitto.
La casa in cui viviamo è un bene di consumo con caratteristiche uniche: ha una minor tendenza al deprezzamento rispetto ad altri beni, ma non è garantito che si rivaluti sempre. La rivalutazione dipende da molteplici fattori, fra cui la localizzazione, lo sviluppo urbano, la domanda di abitazioni e la situazione demografica. Non è quindi scontato che il valore di un immobile aumenti nel tempo.
Comprare o affittare: un dibattito senza fine
La domanda “È meglio comprare casa o stare in affitto?” è uno dei classici dibattiti che non troverà mai una risposta definitiva. Entrambe le soluzioni presentano vantaggi e svantaggi che vanno valutati caso per caso, tenendo conto della situazione personale, degli obiettivi di vita e delle condizioni economiche.
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Vantaggi del comprare: possibilità teorica di rivendere l’immobile con un guadagno o almeno di recuperare parte dei costi, stabilità abitativa, costruzione di un patrimonio tangibile.
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Svantaggi del comprare: necessità di un capitale iniziale consistente (acconti dal 20% al 40%), costi di mutuo e interessi, spese di manutenzione e ristrutturazione, costi per intermediari, indebitamento a lungo termine, scarsa liquidità dell’investimento.
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Vantaggi dell’affitto: flessibilità nel cambiare abitazione, nessun vincolo di capitale o debito, possibilità di investire altrove il denaro risparmiato.
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Svantaggi dell’affitto: spesa mensile che non genera un ritorno diretto, instabilità abitativa.
In definitiva, non è corretto considerare l’acquisto di una casa come un investimento fine a sé stesso, soprattutto se la motivazione è solo quella di evitare di “buttare via” i soldi dell’affitto.
Quando parliamo invece di investimento immobiliare vero e proprio, cioè comprare un appartamento per metterlo a reddito, la situazione si complica ulteriormente. Questo tipo di investimento, molto diffuso in Italia, presenta diversi rischi e costi che spesso vengono sottovalutati:
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Non liquidità: il capitale è bloccato in un bene che non può essere facilmente venduto in tempi brevi senza rischiare di perdere valore.
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Costi di gestione: agenti immobiliari, contratti, manutenzione ordinaria e straordinaria, ristrutturazioni, tasse e imposte.
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Rischio inquilini morosi: statistiche indicano che in Italia circa il 30-40% degli inquilini paga in ritardo o non paga affatto l’affitto, con conseguenze economiche e legali importanti per il proprietario.
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Rischio di svalutazione: la domanda di case potrebbe diminuire a causa di fenomeni demografici come il calo delle nascite, portando a una riduzione dei prezzi immobiliari.
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Impegno di tempo e risorse: gestire un immobile richiede tempo, competenze e impegno, non è un investimento “automatico” o passivo.
Alla luce di tutto ciò, è evidente che l’investimento immobiliare non è affatto un porto sicuro e che la sua presunta sicurezza è più un mito che una realtà oggettiva.
Non voglio però demonizzare completamente l’investimento immobiliare. Ci sono situazioni in cui può avere senso, soprattutto se si dispone di un patrimonio finanziario rilevante. Se hai un milione di euro da investire, destinare una parte (ad esempio 200.000 euro) a un immobile da mettere a reddito in una zona strategica può essere una scelta valida per diversificare il portafoglio e generare una rendita passiva.
Al contrario, se disponi di un capitale limitato, magari inferiore a 100.000 euro, e intendi indebitarti con un mutuo per acquistare un immobile, la cosa diventa molto più rischiosa. Concentreresti tutti i tuoi risparmi, più un debito pesante, su un singolo investimento poco liquido e soggetto a molte variabili esterne.
Per chi non può permettersi grandi capitali, esistono alternative più efficienti e liquide per avere esposizione al settore immobiliare, come i Real Estate Investment Trust (REIT), che vedremo in futuro insieme agli ETF.
Il mito n.2: "I titoli di Stato sono sempre un investimento sicuro"
Il secondo grande falso mito riguarda i titoli di Stato, in particolare i BTP italiani. È vero che questi strumenti sono spesso percepiti come sicuri e convenienti, soprattutto quando offrono rendimenti attorno al 4% annuo. Ma come sempre, la realtà è più complessa e richiede una conoscenza approfondita per evitare brutte sorprese.
I titoli di Stato sono obbligazioni emesse dal governo per finanziarsi. Si tratta di prestiti che lo Stato prende dagli investitori e che si impegnano a restituire alla scadenza con il pagamento periodico di interessi. La durata, il tasso di interesse e la sicurezza percepita dipendono dalla solvibilità dello Stato e dalle condizioni di mercato.
È importante ricordare che questi titoli sono negoziabili in Borsa, il cui prezzo può variare a seconda dei tassi di interesse ufficiali decisi dalla Banca Centrale Europea (BCE). Quando i tassi salgono, il prezzo dei titoli scende, e viceversa.
Comprare titoli di Stato non è un errore di per sé, ma bisogna conoscere e valutare i rischi associati:
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Rischio emittente: anche se lo Stato italiano ha una storia di solvibilità, non è impossibile che in futuro possa avere difficoltà a rimborsare il debito. Nel 2011 abbiamo visto quanto questo rischio possa diventare concreto, e in un contesto di riduzione degli acquisti da parte della BCE (quantitative tightening), la situazione potrebbe complicarsi.
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Rischio duration: i titoli a lunga scadenza sono più sensibili alle variazioni dei tassi di interesse. Se i tassi salgono, il valore dei titoli diminuisce, e se hai bisogno di vendere prima della scadenza, potresti subire perdite.
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Rischio concentrazione: investire tutto o gran parte del proprio capitale in un solo tipo di titolo, come i BTP, espone a un rischio elevato. La diversificazione è fondamentale per ridurre l’impatto negativo di eventuali eventi avversi.
L’investimento in titoli di Stato può avere senso se rappresenta solo una parte del portafoglio complessivo e se si è consapevoli dei rischi e del proprio orizzonte temporale. Ad esempio, se hai 100.000 euro da investire, destinare il 5-10% a BTP può essere una strategia equilibrata per ridurre la volatilità complessiva.
Il vero problema è quando si usa questo strumento in modo indiscriminato o come unica forma di investimento, perché si rischia di bloccare il capitale in asset poco performanti e poco diversificati, senza sfruttare le opportunità offerte da altri mercati o strumenti.
Il mito n.3: "I fondi comuni di investimento sono la scelta migliore per chi non sa investire"
Il terzo mito, e forse il più pericoloso, riguarda i fondi comuni di investimento. Molti italiani si affidano a questi prodotti, soprattutto quelli venduti dalle banche, convinti che affidarsi a un gestore professionale possa garantire rendimenti elevati senza dover acquisire competenze finanziarie. Purtroppo, questa convinzione è spesso solo un’illusione costosa.
Un fondo comune è un paniere di titoli (azioni, obbligazioni o entrambi) gestito attivamente da un team di esperti che selezionano quali titoli acquistare e vendere con l’obiettivo di battere il benchmark di riferimento, cioè un indice di mercato rappresentativo di una determinata categoria di asset.
Ad esempio, un fondo azionario internazionale potrebbe puntare a superare la performance dell’MSCI World Index, che raggruppa circa 1.500 aziende quotate di grandi dimensioni a livello globale.
La narrazione tipica del private banker è questa: “Il nostro gestore è un genio, ha un team di analisti che studiano ogni giorno il mercato, selezionano le migliori azioni e ti garantiscono rendimenti superiori alla media”. Peccato che i dati oggettivi raccontino un’altra storia.
I dati Morningstar al 31 dicembre 2022 mostrano che solo il 38% dei fondi attivi ha fatto meglio del benchmark negli ultimi tre anni, e la percentuale scende al 30% su un arco temporale di cinque anni. Ancora più sorprendente è che su un orizzonte di dieci anni, solo il 13,1% dei fondi attivi ha battuto il proprio indice di riferimento. Quindi, quasi 9 fondi su 10 non riescono a superare la media di mercato nel lungo periodo.
Questa realtà si conferma anche in altri mercati e categorie: fondi europei, grandi società globali e mercati emergenti vedono percentuali di successo analoghe o inferiori.
La spiegazione risiede nella teoria dei mercati efficienti: le informazioni sono disponibili in tempo reale e tutti gli operatori più importanti hanno accesso agli stessi dati. È quindi praticamente impossibile anticipare il mercato sistematicamente e ottenere rendimenti superiori in modo costante.
Inoltre, anche quei pochi fondi che riescono a battere il benchmark in un periodo, spesso non riescono a farlo negli anni successivi.
I costi nascosti dei fondi comuni
Se le performance medie dei fondi attivi sono già inferiori rispetto al mercato, a complicare ulteriormente il quadro ci sono i costi elevatissimi. Questi includono:
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Commissioni di gestione: tipicamente intorno al 2% annuo sul capitale investito.
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Commissioni di consulenza: spesso un ulteriore 1% per il private banker o consulente bancario.
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Costi fiscali: i fondi comuni sono spesso inefficienti dal punto di vista fiscale, il che riduce ulteriormente il rendimento netto.
Per fare un esempio concreto, supponiamo che un fondo faccia un rendimento lordo del 9% annuo su 10.000 euro investiti. Dopo aver sottratto il 2% di commissioni di gestione e l’1% di consulenza, il rendimento netto scende al 6%. Questo significa che circa un terzo dei guadagni viene “regalato” ai gestori senza alcuna garanzia di performance superiori.
Inoltre, queste commissioni si pagano anche negli anni in cui il fondo perde valore, erodendo ulteriormente il capitale investito.
La lezione dell’interesse composto
Ricordate l’effetto esponenziale dell’interesse composto? Piccole differenze nei rendimenti annuali si traducono in grandi differenze nel lungo periodo. Una differenza del 2-3% annuo di commissioni può tradursi in una riduzione del 30-40% dei guadagni totali dopo 10 o 20 anni.
Questo è il motivo per cui investire in fondi comuni attivi venduti dalle banche senza una consapevolezza critica è una delle scelte più dannose che un investitore possa fare.
Obiezione comune: “Ma io non so da dove cominciare, devo affidarmi a qualcuno”
È comprensibile sentirsi spaesati di fronte alla vastità degli strumenti finanziari e alla complessità dei mercati. Tuttavia, il vero problema non è la mancanza di competenze, ma la mancanza di una cultura finanziaria di base. Investire in modo consapevole richiede tempo e studio, ma non è necessario essere esperti per evitare gli errori più comuni.
Fortunatamente, esistono strumenti più semplici, economici e performanti come gli ETF a gestione passiva, che permettono di ottenere risultati migliori con costi molto più bassi e con un impegno minimo. Ne parleremo approfonditamente nel prossimo articolo, ma già da ora vale la pena iniziare a informarsi (puoi farlo gratuitamente su https://www.tradetector.com/)
Conclusioni: smettiamo di buttare via i soldi e investiamo con consapevolezza
Abbiamo visto come i tre grandi miti dell’investimento italiano - il mattone come investimento sicuro, i titoli di Stato come porto franco e i fondi comuni gestiti attivamente come la soluzione per chi non sa investire - siano spesso delle trappole che rischiano di danneggiare i nostri risparmi anziché proteggerli e farli crescere.
Non si tratta di demonizzare queste scelte, ma di inserirle in un contesto più ampio di pianificazione finanziaria, considerando la propria situazione personale, gli obiettivi e la propensione al rischio. Soprattutto, è fondamentale evitare la concentrazione del capitale in un solo tipo di investimento e diffidare di chi promette rendimenti facili e garantiti a fronte di costi elevatissimi.
La strada verso una gestione efficace del denaro passa per la conoscenza, la diversificazione e l’uso di strumenti trasparenti e convenienti. Solo così potremo costruire un futuro finanziario solido e libero da false certezze.
Se vuoi approfondire questi temi e scoprire come investire in modo intelligente e consapevole, ti invito a continuare il viaggio nel mondo della finanza personale, imparando a conoscere strumenti come gli ETF e a costruire un portafoglio equilibrato e performante.
Condividi queste informazioni con amici e familiari: diffondere la cultura finanziaria è il primo passo per migliorare la qualità della vita di tutti. E ricorda, investire bene è un atto di responsabilità verso te stesso e il tuo futuro.
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